Curioso di conoscere alcune caratteristiche che incontreremo lungo i nostri sentieri?
Licheni
Il nome lichene deriva dalla radice greca λείχω (leicho), cioè "lambisco", per via della morfologia appianata del tallo che aderisce tenacemente alla roccia. Presenti in tutti gli ambienti terrestri e marini, i licheni, sono degli ottimi bioindicatori utili a rilevare le emissioni nocive in atmosfera e ad assorbire e accumulare grandi quantità di metalli presenti in aria, non potendosene liberare come fanno invece le piante. La loro proliferazione rallenta con la diminuzione della qualità dell’aria. Sono in grado, di colonizzare ambienti anche fortemente antropizzati attaccandosi ad alberi, e monumenti che lentamente subiscono una lenta disgregazione. I licheni sono organismi simbionti derivanti dall'associazione di un organismo autotrofo, che può essere un cianobatterio o un'alga, e un fungo, organismo eterotrofo. Il fungo e l’alga ottengono un reciproco vantaggio l’uno dall’interazione con l’altro. Mentre il fungo rifornisce di acqua e sali minerali l’alga o il cianobatterio, quest’ultimo fornisce al fungo i composti organici prodotti dalla fotosintesi clorofilliana. Il tallo, in base alla sua forma, viene distinto in crostoso, se appiattito, foglioso, se formato da lamine, fruticoso, se sviluppandosi tende a ramificarsi in varie direzioni, composto, se il tallo si sviluppa in parte in parallelo e in parte perpendicolarmente rispetto al substrato. I campi lavici etnei subiscono il lento e progressivo effetto erosivo, risultante dalla colonizzazione delle piante pioniere: i muschi e i licheni, i primi a spingersi in luoghi fino ad allora disabitati dalla vegetazione. Progressivamente i licheni riescono ad erodere anche la roccia basaltica e a colorarla di grigio (spesso di tratta del frondoso Stereocaulon vesuvianum) e di giallo-arancio (spesso si tratta della crostosa Xanthoria parietina). Giuseppe Zappalà - Terra Caura - Guida Naturalistica Aigae Si489
La Contessa
A Catania si è soliti dire “Contessa dell’Etna”, per individuare una particolare nuvola che si forma lassù, in cima alla nostra Etna, in speciali circostanze. Questo termine, deriva dalla storpiatura del vocabolo “contesa”, ad indicare proprio una… contesa, ma tra venti. Si tratta di una nuvola che per il suo aspetto, ricorda una lenticchia. Lenticolaris, in lingua latina, significa infatti lenticchia. Formandosi pressappoco allo zenith rispetto alla Valle del Bove e compiendo un tragitto verso la cima, questa nuvola alquanto appariscente, finisce per fare da “cappello” al vulcano. Impossibile non riportare alla mente, la nuvola lenticolare che si forma sul Monte Fuji, un vulcano giapponese poco più alto dell’Etna. La presenza della Contessa, non indica l’imminente avvento sul territorio catanese di precipitazioni, ma può precedere l’arrivo di perturbazioni umide occidentali come quelle atlantiche. Gli abitanti del posto, quando vedono formarsi questa particolare e altrettanto suggestiva nuvola, dicono che la Contessa sta andando a trovare l’Etna ma in realtà il fenomeno atmosferico che sta alla base di questo modo di dire è piuttosto interessante. Si tratta di uno o più altocumuli lenticolari sovrapposti, che si formano per via della “contesa”, e dunque dell’incontro proprio a ridosso delle pareti della nostra Muntagna, tra venti diversi. Solitamente si tratta dei forti e umidi venti che provengono da occidente e che per via dell’orografia del terreno e quindi del massiccio vulcanico, producono quell’effetto che in meteorologia viene definito mountain waves. Brevemente, questo interessante fenomeno, consiste in ondulazioni del flusso delle correnti umide che si sono infrante contro le pareti delle montagne che fanno da barriera al loro passaggio. L’aria umida, ammassandosi in senso verticale e raffreddandosi, comincia a dar vita a questa speciale nuvola che può essere lunga diversi chilometri e può svilupparsi per migliaia di metri in altezza. Giuseppe Zappalà - Terra Caura - Guida Naturalistica Aigae Si489
Giganti nani
In epoche remote, quando il mito si sostituiva alla scienza, il ritrovamento in Sicilia, di enormi teschi con un foro nella zona frontale del cranio, ha dato vita a racconti e leggende che vedevano come protagonisti dei giganti: giganti con un solo occhio al centro della fronte. Chiaramente, la necessità, prettamente umana, di mettere ordine laddove regna il caos e dunque di trovare risposte alle proprie domande e alle questioni irrisolte, ha condotto l’Uomo, alla formulazione di ipotesi avventuristiche e spiegazioni pionieristiche. …Un teschio con un enorme foro al centro della testa… Deve per forza appartenere ad un gigante con un solo occhio! Anche Empedocle, il filosofo e politico siceliota del V secolo a.C., ed originario di Akragas, affermava che "in molte caverne siciliane furono ritrovati fossili di una stirpe di uomini giganteschi oggi scomparsa”. Del resto, Tucidide nel V sec. a.C., nel libro VI delle sue Storie, in effetti accenna a popolazioni barbare dal nome “Ciclopi” presenti in Sicilia prima dell’avvento dei greci. Probabilmente Polifemo, tra tutti i Ciclopi (dal greco "κύκλος" (cerchio) e "ὤψ" (occhio) è il più famoso perché la sua storia si intreccia a quella di Ulisse e ai Faraglioni di Aci Trezza. La paleontologia, oggi, ha spiegato come quei ritrovamenti abbiano origini diverse da quelle trovate fino ad allora. Quei teschi, possiamo affermare con certezza, appartengono a degli elefanti che vivevano in Sicilia durante il Pleistocene. In quel periodo infatti, la glaciazione, ispessendo i ghiacciai artici, aveva causato un abbassamento del livello del mare in molte altre zone della Terra. Questo, aveva favorito la nascita di “corridoi migratori” che univano l’odierna Sicilia all’Africa. Da questi corridoi transitavano numerose specie terrestri e tra queste, quella degli elefanti nani, ormai estinti e derivanti dalla specie continentale Elephas antiquus, appartenenti al sottogenere Palaeoloxodon. Il foro al centro del teschio quindi non sarebbe una cavità oculare come spiega il mito, bensì la narice da cui si propaga la proboscide del nostro Palaeoloxodon falconeri (Busk, 1867), meglio conosciuto come elefante nano siciliano o elefante nano di Tilos. I resti fossili di questo elefante nano, alto non oltre i 90 cm, sono conservati al Museo archeologico Paolo Orsi di Siracusa.
Giuseppe Zappalà - Terra Caura - Guida Naturalistica Aigae Si489
Lava cicirara
Quelle particolari formazioni dalla colorazione bianco ghiaccio e aspetto spesso gessoso, che si distinguono nettamente ad occhio sudo su di una matrice di fondo che li lega alla roccia stessa, corrispondono a dei cristalli di feldspato (plagioclasio). Questi cristalli, stazionando per molti anni in una camera magmatica dell’Etna relativamente superficiale, hanno assunto questo aspetto che li fa un po’ assomigliare a dei ceci grandi pressappoco un centimetro. L’ultima volta che l’Etna ha eruttato lava "cicirara" (che in siciliano vuol dire “dalla forma di ceci”) era il 1669, durante una tra le più significative eruzioni storiche etnee. Ma il termine ciciri, ceci, ci fa tornare indietro con la mente al Lunedì dell'Angelo del 1282, ed esattamente a Palermo, sul sagrato della Chiesa del Santo Spirito durante, proprio all’ora dei vespri. In quel momento esatto, iniziò una irrefrenabile ribellione da parte del popolo che coinvolse come un’onda tutta la Sicilia, stufa del governo di Carlo I d’Angiò, visto da tutti come un usurpatore. Tutto ebbe inizio quando un soldato francese, usò dei toni poco cortesi nei confronti di una donna palermitana in presenza del marito che, furioso, si appropriò della spada del soldato riuscendo a trafiggerlo a morte. La ribellione portò alle "guerre del Vespro" per il controllo della Sicilia, che si conclusero definitivamente con il trattato di Avignone del 1372 che segnò definitivamente il distacco del Regno di Napoli, dal Regno di Sicilia. Si racconta che i siciliani per identificare i soldati francesi in fuga e sotto false vesti per potersi camuffare dal popolo, chiedessero, dopo avergli mostrato dei ceci, di pronunciare il loro nome in siciliano. Nessun francese riuscendo a pronunciare la parola ciciri che veniva inevitabilmente storpiata in scisciri, poteva sopravvivere all’onda d’urto del Vespro siciliano. Si tratta probabilmente di un momento in cui la percezione dell’identità siciliana, ha giocato un ruolo talmente importante dal punto di vista simbolico, da essere secondo per cronologia, solo al movimento che vide Ducezio a capo dei Siculi, scontrarsi contro i coloni Greci, oltre duemila anni fa. Giuseppe Zappalà - Terra Caura - Guida Naturalistica Aigae Si489
Eccoti due utili vademecum in formato immagine, da scaricare, leggere e conservare.